Articoli di Fondazione : Modelli di sviluppo
Modelli di sviluppo
Il concetto di sviluppo secondo il modello occidentale, inteso cioè come crescita economica e tecnologica, ebbe origine in Inghilterra alle soglie della Rivoluzione Industriale, consolidato in Europa durante il periodo del colonialismo, modernizzato e “riproposto” dopo la Seconda Guerra Modiale (periodo neocolonialista).
In molte civiltà (forse in tutte), prima del contatto con l’Occidente, il concetto di sviluppo, inteso, era completamente diverso. In varie società dell’Africa e di altri Paesi del “Terzo Mondo”, tuttora oggi, il termine stesso non ha alcun equivalente nella lingua locale. Si può soltanto rendere l’idea di sviluppo con espressioni quali:
“crescere e morire”
“marciare, spostarsi” (senza che nella nozione sia inclusa alcuna direzionalità particolare)
“la voce del capo”
“il sogno del bianco”
“noi lottiamo perché nel villaggio le cose vadano per il corpo”
“bello lavorare per la prossima alba”.
Questa lacuna dimostra che altre società non considerano che il loro benessere dipenda soltanto dall’accumulazione di beni e nuove tecnologie che si suppone rendano il futuro migliore del passato, e che i valori sui quali si basano lo sviluppo ed il progresso non corrispondono ad aspirazioni universali. Su questi valori, dopo la Seconda Guerra Mondiale, i Paesi del mondo vengono drasticamente divisi in “sviluppati” e sottosviluppati”, a seconda o meno delle caratteristiche economiche proprie dell’Occidente.
Si pensava allora che tutti i popoli sarebbero passati per le stesse fasi disposte a scala, nel gradino più alto della quale c’era l’Occidente; eppure, nonostante decenni di investimenti per lo sviluppo, rimane ancora oggi impressionante la differenza di reddito fra i Paesi ricchi ed i Paesi poveri (agli estremi gli Stati Uniti con un reddito pro capite di 19.000 dollari e l’Etiopia con 110 dollari) e lo scarto fra il 20% più povero ed il 20% più ricco della popolazione mondiale è passato da 1:30 a 1:60.
Alla luce di questi dati, attualmente, sia nei Paesi del “Terzo Mondo” che in Occidente vi è un interessante dibattito che nasce da un ripensamento del concetto di sviluppo inteso soltanto come crescita economica. Nel 1982, alla conferenza di Rio, per la prima volta fu introdotto un nuovo termine, “sviluppo sostenibile o durevole” o “ecosviluppo” inteso non solo come sviluppo economico ma soprattutto umano ed ambientale. Viene ufficialmente riconosciuto il problema del degrado ambientale tra le maggiori preocupazioni per il futuro di tutta l’umanità e si inizia a discutere sui limiti da imporre alle dinamiche economiche a tutela degli interesssi di tutta la comunità, riconoscendo anche il diritto di scelta per il maggior numero di uomini.
Citiamo una definizione di “sviluppo” data da un responsabile di una organizzazione non governativa senegalese:
“ E’ la ricerca da parte di una comunità, fortemente radicata nella sua solidarietà, di un benessere sociale armonioso in cui ciascuno dei suoi membri, dal più ricco al più povero, possa trovare un posto e la sua realizzazione personale”