Articoli di Fondazione : Il concetto di sviluppo
Il concetto di sviluppo
In molte civiltà (forse in tutte), prima del contatto con l’Occidente, il concetto di sviluppo era completamente assente. In varie società dell’Africa e di altri paesi del “Terzo Mondo”, il termine stesso non ha alcun equivalente nella lingua locale. Si può soltanto rendere l’idea di sviluppo con espressioni quali:
“crescere e morire”;
“marciare, spostarsi” (senza che nella nozione sia inclusa alcuna direzionalità particolare);
“la voce del capo”;
“il sogno del bianco”;
“noi lottiamo perché nel villaggio le cose vadano per il corpo”,
“bello lavorare per la prossima alba”.
Questa lacuna dimostra che altre società non considerano che la loro riproduzione dipenda da una accumulazione continua di saperi e di beni che si suppone rendano il futuro migliore del passato e che i valori sui quali si basano lo sviluppo e il progresso non corrispondono ad aspirazioni universali profonde. Questi valori sono legati alla storia dell’Occidente e probabilmente non hanno valore per altre società.
Per quanto riguarda l’Africa nera, gli antropologi hanno osservato che la percezione del tempo è caratterizzata da un netto orientamento verso il passato. Per esempio, nel Ciad, si ritiene che quel che si trova dietro gli occhi e che non si può vedere sia il futuro, mentre il passato si trova davanti, poiché è noto.
Un altro fattore importante è l’assenza della credenza nel dominio dell’uomo sulla natura nelle società animiste (coccodrillo totem, foreste sacre, ecc.)…………….
Una definizione di sviluppo, data da un responsabile di una ONG senegalese:
E’ la ricerca da parte di una comunità, fortemente radicata nella sua solidarietà, di un benessere sociale armonioso in cui ciascuno dei membri, dal più ricco al più povero, possa trovare un posto e la sua realizzazione personale.
L’idea di sviluppo, inteso come crescita tecnologica ed economica, nasce negli anni 50 dalle civiltà euroamericane uscite vittoriose dalla seconda guerra Mondiale, le quali hanno diffuso nel mondo i principi alla base del loro sistema di vita: fiducia illimitata nella scienza e nella tecnica, in grado di soddisfare tutti i bisogni, un apparato industriale in grado di assicurare una sempre maggiore produzione di beni a costi progressivamente più bassi, una espansione totale del mercato come strumento per stabilire relazioni fra popoli e governi, ecc.. I paesi del mondo vengono drasticamente divisi in sviluppati e sottosviluppati, a seconda o meno delle caratteristiche economiche proprie dell’Occidente (che viene preso come unità di misura).
Pertanto gli aiuti tecnici internazionali divennero l’unico modo per stabilire le modalità di scambio tra i popoli, determinando la supremazia dell’Occidente: le differenze culturali venivano disprezzate e eliminate perché rappresentavano l’inferiorità tecnica, il passato. Sistemi di produzione tradizionali, poveri ma efficienti, che avevano resistito per millenni, logiche sociali di scambio economico, criteri ed idee originali di gestione delle relazioni sociali attraverso la produzione, distribuzione e consumo socialmente controllati dei beni, vennero inesorabilmente distrutti.
Alla base delle teorie e delle pratiche dello sviluppo di quegli anni c’era una concezione evoluzionistica unilaterale, secondo la quale tutti i popoli sarebbero passati per le stesse fasi disposte a scala, nel gradino più alto della quale c’era l’Occidente.
La sicurezza dell’Occidente induceva una corrispondente e contraria insicurezza di sé nelle società che la sua espansione economica si trovava davanti: i popoli e le società incontrate imparavano a disprezzare la loro storia e le loro risorse tecniche, materiali e spirituali e si convertivano alle leggi dei conquistatori, accettando l’idea che il progresso viene da fuori e bisogna semplicemente riceverlo.
C’erano però numerosi vantaggi per i paesi dell’Occidente: forza lavoro a basso prezzo, nuovi mercati per alcuni beni prodotti nei paesi industrializzati, ecc.: l’aiuto allo sviluppo diventò lentamente una colossale industria economico-sociale, che finiva per creare scambi economici ineguale e solide dipendenze dei paesi “aiutati”.
La vera chiave dello sviluppo era pertanto la crescita economica; il resto, per esempio il miglioramento delle condizioni e della qualità della vita, gli aspetti sociali e immateriali, quindi culturali, dei cambiamenti economici, i servizi sociali, non aveva una importanza diretta. Si pensava che tutto ciò si sarebbe realizzato come effetto indiretto della ricchezza. Eppure, ancora nel 1984, dopo decenni di investimenti per lo sviluppo, era impressionante la differenza di reddito fra i paesi ricchi e i paesi poveri (agli estremi gli Stati Uniti con reddito pro-Capite di 19.000 dollari e l’Etiopia con 110 dollari).
Il concetto di sviluppo,così come viene inteso nelle società dell’Occidente, non ha mai funzionato. Tra il 1960 e il 1990, mentre il reddito del pianeta si moltiplicava per 2.5, lo scarto tra il 20% più povero e il 20 % più ricco della popolazione mondiale passava da 1 a 30 a 1 a 60.
Dal 1992 (conferenza di Rio) è stato introdotto il termine sviluppo durevole, affidabile, vivibile, sopportabile o sostenibile (sustainable), precedentemente detto ecosviluppo (1972).